L’iconografia dell’opera si rifà ai modelli “Salvatore non dipinto da mano d’uomo” e “Non piangere su di me madre”.
Il contenuto della raffigurazione è legato agli avvenimenti dell’incarnazione, passione e croce di Cristo.
Nella fascia superiore contempliamo la rappresentazione del Volto santo di Cristo.
La tradizione del sacro lino su cui Cristo impresse il suo volto, donando agli uomini la prima icona, “non dipinta da mano d’uomo”, è comune all’Oriente e all’Occidente.
In Occidente questa tradizione sottolinea il tema della Passione ed è legata principalmente alla salita di Gesù al Calvario, durante la quale incontrò la Veronica; l’Oriente vede invece nell’icona del Cristo “non dipinta da mano umana” la suprema esaltazione della sua divina umanità.
L’effigie miracolosa impressa da Cristo sul lino perché nessun pittore era in grado di ritrarla, e inviata dallo stesso Cristo al re di Edessa Abgar per guarirlo dalla peste, sottolinea l’unità fra il tema della morte terrena come principio dominante della vita umana, a cui lo stesso Salvatore accettò di sottoporsi, e il tema della vittoria sulla morte per mezzo della croce, come principio fondamentale della fede.
Il volto Acheropita(non dipinto da mano d’uomo) occupa un posto centrale fra le immagini di Cristo, indicando che l’icona non è solo un’illustrazione ma è “l’immagine riflessa della fede della Chiesa nel mistero dell’incarnazione”.
Nell’incarnazione Dio stesso, infatti si offre come icona vivente, e restaura nell’uomo l’icona dell’immagine e somiglianza di Dio. Il capo di Gesù è avvolto dal nimbo d’oro, segno della santità del personaggio, con iscritta una croce che allude alla sua dimensione salvifica; nei tre bracci superiori è riportata la definizione scritturale “Colui che è” espressa con le tre lettere greche: Ó in alto, rispettivamente a sinistra e a destra. E’ il nome di Dio rivelato a Mosè sul monte Sinai.
Il volto per tradizione è quello del Santo Volto: tutta l’attenzione è concentrata nello sguardo che irradia verso lo spettatore, gli occhi sono circondati da rientranze scure che li ingrandiscono e al di sopra delle arcate sopracciliari, rivolte a sottolineare l’espressione degli occhi, si erge la fronte alta sede della sapienza e del pensiero contemplativo.
Nella fascia inferiore è rappresentato il momento culminante della missione di Cristo: è l’icona dello “Sposo”, “che consuma le sue nozze sul talamo della croce per generare dal suo sangue l’umanità redenta” così lo definiscono i testi dei canti liturgici della Settimana Santa.
Questo nome viene preso dalla parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13) che fa da sfondo alla meditazione Liturgica dei primi tre giorni della Grande Settimana che in Oriente è dominata dal tema delle nozze di Dio con l’umanità.
Nel Mattutino di questi giorni, detto “Ufficio dello Sposo” l’icona viene solennemente portata in processione ed esposta ai fedeli che accorrono a baciarla, mentre cantano il tropario: “Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte, beato quel servo che troverà vigilante, indegno invece quel servo che troverà negligente! Guarda dunque anima mia di non lasciarti opprimere dal sonno, per non essere consegnata alla morte e chiusa fuori del regno! Invece vegliando grida: Santo, Santo, Santo, tu sei, o Dio! Per intercessione della madre di Dio abbi pietà di noi!”
La parabola e l’icona vengono lette in chiave escatologica.
Questa icona è simbolo del sacrificio e insieme della vittoria di Cristo sulla morte è l’immagine del Re della Gloria, Sposo paziente e misericordioso che viene a purificare la Sposa nel sangue.
L’icona raffigura Cristo morto, in piedi nel sarcofago davanti alla croce, come Re della Gloria, Sposo Paziente. Ai lati sono raffigurati la madre di Dio e Giovanni Evangelista, rappresentano la Chiesa, la “creatura nuova”, l’umanità redenta; partecipano della sua morte per essere partecipi della sua resurrezione.
Nella struttura compositiva, da cui traspare serenità e gloria, si coglie la centralità della croce che si alza sullo sfondo ed evidenzia una solennità regale.
Vediamo come i colori mettano in evidenza il corpo nudo di Cristo con le mani ferite ed il costato trafitto (è raro vedere Cristo nudo, solo nel Battesimo, nella Deposizione e Crocifissione).
Il corpo nudo umiliato nella morte si leva dal sarcofago mentre una parte del corpo di Gesù è nascosta nella tomba. Questa nudità non svela la carne, non cerca di mettere in evidenza la bellezza naturale (come fa l’arte profana) ma di visualizzare le verità teologiche e di incarnare una presenza spirituale.
In questo corpo si può notare la mancanza di realismo che contribuisce a renderlo ancora più spirituale, non c’è il realismo di Cristo dolorante sulla croce, ma la regale nobiltà di chi si sacrifica volontariamente.
Il Cristo morto nel sepolcro ha un’espressione intensa, sofferente; la sua figura è essenziale ed ha un profilo laconico. Pur nell’immobilità della morte, conferita dagli occhi chiusi diffonde un’impressione di serenità e quasi di vittoria.
La presenza di Maria rappresentata con i colori canonici vuol sottolineare la partecipazione di Maria al Mistero della croce, la Vergine presente durante la morte e la deposizione del Cristo dalla croce.
L’icona trova il suo migliore commento nella 9ª ode del Canone del Grande Sabato:
“Non piangere per me o Madre, vedendo nella tomba il Figlio che tu hai concepito miracolosamente. Perché io risorgerò e sarò glorificato, e innalzerò a una gloria senza confini coloro che ti esaltano con fede e con amore”.
Si sottolinea la gloria di cui si è rivestito il Signore attraverso la sua passione e morte.
Accanto alla figura del Cristo, della Madre di Dio e di san Giovanni sono scritte le abbreviazione in greco dei rispettivi nomi.
L’oro costituisce il fondo dell’icona. Esso non è un colore ma luce e splendore, è riflesso della luminosità del sole e mentre i colori vivono della luce, l’oro è esso stesso luce attiva, esso esprime la partecipazione alla vita di Dio soprattutto sulle aureole.
L’oro è luminoso ma non abbaglia, simbolo della trascendenza, non violenta lo sguardo, come fa Dio che si fa conoscere dall’uomo senza violentare; infatti Dio si presenta alla conoscenza dell’uomo con la forza dell’evidenza senza violentarne l’intelligenza. “Infatti dalla creazione del mondo le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,20).
Simboleggia il cielo dove il sole non tramonta e vuole evidenziare la condizione gloriosa del personaggio raffigurato.
“Siate santi come santo è il Padre vostro”
Ogni santità ha inizio dalla santità di Cristo, immagine visibile del Padre, che nella Chiesa conosciamo attraverso i sacramenti, la Scrittura e l’icona.
Nella raffigurazione è evidenziato un calice, segno dell’Eucaristia; mentre lo contempliamo lasciamo risuonare dentro di noi le parole della fondatrice Madre Bianchi Ada.
“… “Consumatum est!” Tutto egli si è immolato, tutto ha bevuto il calice del dolore fino all’ultima stilla, tutto si è donato alla sua sposa, aprendo nel Suo Corpo altrettante porte , quante sono le sue piaghe, tanto è grande il suo desiderio che ella entri in Lui e sia completamente Sua!…”
“Sitio” ho sete! Ho sete di essere conosciuto, amato! Ho sete di anime peccatrici che si ravvedano, di innocenti che perseverino!…”
“…Chi e come appagare la sete di anime del Cuor di Gesù, come diminuirgli lo strazio per la perdita di tante, come fare che il suo amore sia conosciuto, compreso, ricambiato?…”
“Qual sublime distacco Egli insegna nella sua povertà, nudità, dolorosa posizione in croce pendente da tre chiodi!”.
“Guardiamolo in Croce! Come le virtù dell’incarnazione, della nascita, della vita ivi si continuano e danno risalto maggiore alla Sua bontà!…”
“…come il dono completo perenne di Sé nell’Eucaristia, come il suo testamento d’amore: “Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi, da questo vi riconoscerò per miei discepoli” in croce è rammentato, riassunto, sorpassato in quelle sublimi parole: “Padre perdona loro, non sanno quello che si fanno!…”
“…Egli in questo Sacramento non solo è Sposo amante ma Padre, Amico, Medico, Benefattore, tutto quello che un’anima può desiderare. È la S. Comunione che germina i vergini, che ha fortificato i martiri, che sostiene gli eroi, i Santi!…é in essa che l’anima si intrattiene cuore a cuore col suo Dio, gli parla e lo ascolta, lo prega per sé e per i prossimi!…”
“Non solo nell’atto della Comunione ma ad ogni istante e specialmente nel tempo dell’adorazione Eucaristica, tu puoi devi essere in Gesù ed Egli in te…”